giovedì 18 febbraio 2016

Bellucci: «Questa crisi non ha né padre né madre»

Le bolle, e l’effetto ricchezza che ne deriva – spiega l’economista –, vanno interpretate come la risposta finanziaria all’aumento delle disuguaglianze e all’abbassamento dei consumi”. Una ricetta che mostra ormai i propri limiti storici
“Dopo sette anni dallo scoppio della crisi dobbiamo prendere atto che l’idea di una filiera risparmio-investimento-economia reale che passa per i mercati finanziari non funziona”. In queste giornate di grande tensione per i mercati finanziari globali, abbiamo chiesto a Giorgio Bellucci, economista, autore del libro “Critica del monetarismo e dei derivati di credito” (edito da Ediesse), qualche riflessione sui nuovi strumenti di finanza derivata, partendo dalla “grande bolla” del 1929 per arrivare alla “bolla di Internet” e a quella dei mutui sub-prime. “Il termine di paragone più spesso utilizzato per quella che ormai sono tutti concordi nel definire la più devastante crisi dal dopoguerra – osserva Bellucci – è la grande depressione del 1929, che negli anni trenta scatenò un vero e proprio sconvolgimento nelle teorie allora dominanti e inasprì i contrasti fra gli economisti. Oggi nulla di questo accade. Questa crisi non ha né padre, né madre, non ci sono autocritiche, ma un generale appiattimento domina sia l’interpretazione della crisi, sia gli interventi che sono stati intrapresi”. Per Bellucci, l’idea largamente dominante è che siano state le insolvenze dei mutui sub-prime a far scoppiare il sistema e sulla base di questa lettura sono state impostate le politiche di contrasto alla depressione. Lo sfondo su cui si muove la risposta di governi e banche centrali è l’interpretazione legata all’idea monetarista della “contrazione monetaria”. “Ma legare lo scoppio della crisi alle insolvenze dei mutuatari ha significato – sottolinea l’autore di “Critica del monetarismo e dei derivati di credito” – ricondurre la crisi agli andamenti dei tassi della Federal Riserve e alla scarsa vigilanza sul merito di credito dei debitori”. Per fotografare la situazione, Bellucci cita alcuni dati: i tassi di interesse degli Stati Uniti dall’1% dell’ottobre 2003 sono saliti al 5,25% del 2006; l’indice Dow Jones da 7.600 punti dell’ottobre 2002 è arrivato a 14.000 nel 2007; i volumi dei Credit default swap (Cds) dai 3.500 miliardi del 2003 sono arrivati a 58.000 miliardi nel 2008; il nozionale dei derivati di credito (a livello globale) dai 278.000 miliardi del 2003 è passato ai 980.000 miliardi del 2008. Senza dimenticare che, sempre negli Usa, le cartolarizzazioni sui mutui erogati dal 62% del 2001 hanno raggiunto il 77% nel 2006. Ciò significa, spiega ancora Bellucci, che le cartolarizzazioni crescono più che proporzionalmente sui mutui erogati e sui tassi crescenti, così come Wall Street raddoppia su tassi crescenti. “Tutto questo – prosegue l’economista – mentre, contestualmente, esplodono i volumi dei Cds e dei derivati di credito. Il corollario sta nell’idea probabilistica della dispersione del rischio. Le bolle non si possono prevenire, si può solo contenere il loro scoppio, così come avvenne con la famosa 'Greenspan put' negli anni novanta.
In questo gravissimo crollo delle borse occorrerebbe bloccare i Credit default swap e congelare i derivati non standardizzati per almeno sei mesi in Italia e in Europa”. Oggi abbiamo di fronte, a giudizio di Bellucci, uno scenario aperto, in cui l’incertezza dei commentatori e degli economisti è davvero totale. Alla lettura della crisi come “contrazione monetaria” si è risposto con l’elicottero monetario, evocato da Milton Friedman nei suoi scritti e applicato con le politiche non convenzionali della Fed e della Bce. “L’aumento delle disuguaglianze aiuta a spiegare la natura costantemente stagnante della ripresa nel prosieguo della crisi: negli Stati Uniti, negli ultimi 30 anni, il 16% del reddito del 95% della popolazione è stato ceduto al restante 5%; più o meno la stessa cosa è avvenuta in Europa". La frattura fra redditi e consumi è stata colmata attraverso l’aumento dell’indebitamento. “Le bolle finanziarie, e l’effetto ricchezza che ne deriva – conclude Bellucci –, vanno interpretate come la risposta finanziaria all’aumento delle disuguaglianze e all’abbassamento dei consumi. Dopo sette anni questa risposta ha ormai mostrato i propri limiti storici e, anzi, è foriera di nuovi traumi”.

lunedì 15 febbraio 2016

Crollo della borsa e monetarismo

Il 4 febbraio si è tenuta presso la sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro del Senato una tavola rotonda per discutere delle ‘Crisi sistemiche e i derivati di credito‘. Un dibattito al quale hanno partecipato: Riccardo Sanna (Cgil Nazionale), Luigino Bruni (docente di economia), Andrea Baranes (Banca Etica), la senatrice Donatella Mattesini e Giorgio Bellucci che ha presentato il suo libro ‘Critica del monetarismo e dei derivati di credito‘ (edito Ediesse). In queste giornate di grande tensione per i mercati finanziari globali, Giorgio Bellucci apre un’interessante riflessione sui nuovi strumenti di finanza derivata. Sono trascorsi oltre sette anni dallo scoppio della più devastante crisi dal dopoguerra, osserva Bellucci. Il suo termine di paragone è spesso rintracciato nella grande depressione del 1929 che, negli anni ’30, scatenò un vero e proprio sconvolgimento nelle teorie allora dominanti e inasprì i contrasti fra gli economisti. Oggi nulla di questo accade. Questa crisi non ha né padre né madre, non ci sono autocritiche, ma un generale appiattimento domina sia l’interpretazione della crisi, sia gli interventi che sono stati intrapresi. Per Bellucci, l’idea largamente dominante è che siano state le insolvenze dei mutui sub-prime a far scoppiare il sistema e sulla base di questa lettura sono state impostate le politiche di contrasto alla depressione. Lo sfondo su cui si muove la risposta di governi e banche centrali è l’interpretazione legata all’idea monetarista della “contrazione monetaria”. Legare lo scoppio della crisi alle insolvenze dei mutuatari ha significato, come sottolinea l’autore del libro, ricondurre la crisi agli andamenti dei tassi della Federal Riserve e alla scarsa vigilanza sul merito di credito dei debitori. Per fotografare la situazione Bellucci cita alcuni dati: i tassi di interesse degli Stati Uniti dall’1% dell’ottobre 2003 sono saliti al 5,25% del 2006; l’indice Dow Jones da 7.600 punti dell’ottobre 2002 è arrivato a 14.000 nel 2007; i volumi dei Credit Default Swap (Cds) dai 3.500 miliardi del 2003 sono arrivati a 58.000 miliardi nel 2008; il nozionale dei derivati di credito (a livello globale) dai 278.000 miliardi del 2003 è passato ai 980.000 miliardi del 2008. Infine, sempre negli Usa, le cartolarizzazioni sui mutui erogati dal 62% del 2001 hanno raggiunto il 77% nel 2006. Ciò significa, spiega Bellucci, che le cartolarizzazioni crescono più che proporzionalmente sui mutui erogati e sui tassi crescenti, così come Wall Street raddoppia su tassi crescenti. Contestualmente esplodono i volumi dei Cds e dei derivati di credito. Il corollario sta nell’idea probabilistica della dispersione del rischio. Le bolle non si possono prevenire, si può solo contenere il loro scoppio (Greenspan put). In questo gravissimo crollo delle borse occorrerebbe bloccare i cretit default swap e congelare i derivati non standardizzati per almeno 6 mesi in Italia e in Europa. Per l’autore del libro, oggi abbiamo di fronte uno scenario aperto in cui l’incertezza dei commentatori e degli economisti è davvero totale. Alla lettura della crisi come ‘contrazione monetaria’ si è risposto con l’elicottero monetario, evocato da Milton Friedman, nei suoi scritti, ed applicato con le politiche non convenzionali della Fed e della Bce. Dopo sette anni dallo scoppio della crisi dobbiamo prendere atto che l’idea di una filiera risparmio-investimento-economia reale che passa per i mercati finanziari non funziona. L’aumento delle disuguaglianze aiuta a spiegare la natura costantemente stagnante della ripresa nel proseguo della crisi: negli Stati Uniti, negli ultimi 30 anni, il 16% del reddito del 95% della popolazione è stato ceduto al restante 5%; più o meno la stessa cosa è avvenuta in Europa. La frattura fra redditi e consumi è stata colmata attraverso l’aumento dell’indebitamento. Le bolle finanziarie, e l’effetto ricchezza che ne deriva, vanno interpretate come la risposta finanziaria all’aumento delle disuguaglianze e all’abbassamento dei consumi. Dopo sette anni questa risposta ha ormai mostrato i propri limiti storici ed anzi è foriera di nuovi traumi. Pubblicato il 10/02/2016 su cgil.it